sabato 25 marzo 2017

Fidati di me

- Stammi lontano! - Urlò, - non mi piace quello che stai facendo, non mi fai ridere, hai capito? -
Io la guardai sbigottito, non capivo cosa stesse accadendo, poi fui illuminato da un pensiero, “Non mi capisce, forse non sto parlando la mia lingua com’è accaduto poco prima con la registrazione.”
Improvvisamente mi sentì gelare il sangue.
- Capisci quello che dico? - Urlai afferrandola per un braccio. Non volevo spaventarla, ma le intenzioni contrastavano con le mie azioni. Lei si liberò dalla mia stretta mentre il suo sguardo divenne strano, dinanzi a me c’era mia moglie che mi guardava come se fossi un estraneo, o come se fossi impazzito.
- Aspetta, scusa se ti ho spaventato. - Dissi cercando di rimediare alla mia reazione, Aurora in quello stesso istante mi voltò le spalle e corse verso l’ingresso della casa. Cercai di raggiungerla per fermarla ma lei si voltò verso, e mi colpì tra le gambe con un calcio. Mi accasciai al pavimento urlando dal dolore. Lei mi guardò e allungò la mano come per volermi aiutare, ma poi la ritrasse disorientata, prese la sua borsetta ed uscì di casa.
Io rimasi sul pavimento cercando di riprendere fiato, non riuscivo più a parlare: quel calcio mi aveva troncato il fiato in gola. Ansimando dal dolore cercai di riprendermi, raggiunsi la cucina carponi, allungai la mano sul tavolo facendo leva per alzarmi da terra, e mi rimisi in piedi a fatica.
Presi il brik del succo che Aurora aveva lasciato sul tavolo, e lo lanciai contro il lavandino. Raggiunsi la poltrona, recuperai il giubbotto, e trascinandomi lentamente ritornai nel mio studio. Scesi le scale, sorreggendomi con tutto il peso del corpo sul corrimano. Arrivai barcollando alla scrivania sedendomi di peso sulla sedia. Presi il registratore e lo avvicinai alla bocca.
- Mia moglie... Aurora è rientrata a casa, e... - La mia voce s’interrompeva ogni tanto per riprendere fiato.
- Le ho parlato del giubbotto ma lei è fuggita. - Spensi la registrazione e riportai brevemente il nastro indietro. Riascoltandolo mi accorsi della sensatezza della mia intuizione. Aurora non capiva quello che dicevo, e la sua reazione era del tutto comprensibile. Avrà pensato che qualcosa nel mio cervello avesse smesso di funzionare.
Quella consapevolezza mi spaventò ulteriormente, ma la cosa più importante era riprendere il pieno possesso del mio linguaggio. Afferrai il giubbotto e lo voltai posizionando il dito sulla cartina, in un punto dove era raffigurata vagamente la mia nazione. Avvertì la stessa leggera scossa attraversarmi il corpo. Riaccesi il registratore. e riprovai a parlare.
- Sono nel mio studio e sto provando a capire cosa sta accadendo. -
Spensi e riascoltai il nastro, un respiro di sollievo allentò la tensione, quando dal nastro stesso risentì la voce nella mia lingua madre. Osservai per parecchi minuti il giubbotto, ero combattuto se tenerlo o meno, riportarlo dove l’avevo trovato mi sembrava la soluzione più logica.

Cominciai a gironzolare per la stanza nervosamente. La mia mente era attraversata da decine di possibilità, addirittura mi balenò l’idea di venderlo a qualcuno, magari ad un collezionista di oggetti rari, inoltre, su internet potevo contattare collezionisti del paranormale, ma quello che avevo in mano poteva causare problemi anche a loro, e la mia buona coscienza ebbe il sopravento.

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