- Stammi lontano! -
Urlò, - non mi piace quello che stai facendo, non mi fai ridere, hai capito? -
Io la guardai
sbigottito, non capivo cosa stesse accadendo, poi fui illuminato da un
pensiero, “Non mi capisce, forse non sto parlando la mia lingua com’è accaduto
poco prima con la registrazione.”
Improvvisamente mi
sentì gelare il sangue.
- Capisci quello
che dico? - Urlai afferrandola per un braccio. Non volevo spaventarla, ma le intenzioni
contrastavano con le mie azioni. Lei si liberò dalla mia stretta mentre il suo
sguardo divenne strano, dinanzi a me c’era mia moglie che mi guardava come se
fossi un estraneo, o come se fossi impazzito.
- Aspetta, scusa se
ti ho spaventato. - Dissi cercando di rimediare alla mia reazione, Aurora in
quello stesso istante mi voltò le spalle e corse verso l’ingresso della casa. Cercai
di raggiungerla per fermarla ma lei si voltò verso, e mi colpì tra le gambe con
un calcio. Mi accasciai al pavimento urlando dal dolore. Lei mi guardò e
allungò la mano come per volermi aiutare, ma poi la ritrasse disorientata, prese
la sua borsetta ed uscì di casa.
Io rimasi sul pavimento
cercando di riprendere fiato, non riuscivo più a parlare: quel calcio mi aveva
troncato il fiato in gola. Ansimando dal dolore cercai di riprendermi,
raggiunsi la cucina carponi, allungai la mano sul tavolo facendo leva per
alzarmi da terra, e mi rimisi in piedi a fatica.
Presi il brik del
succo che Aurora aveva lasciato sul tavolo, e lo lanciai contro il lavandino.
Raggiunsi la poltrona, recuperai il giubbotto, e trascinandomi lentamente ritornai
nel mio studio. Scesi le scale, sorreggendomi con tutto il peso del corpo sul corrimano.
Arrivai barcollando alla scrivania sedendomi di peso sulla sedia. Presi il
registratore e lo avvicinai alla bocca.
- Mia moglie... Aurora
è rientrata a casa, e... - La mia voce s’interrompeva ogni tanto per riprendere
fiato.
- Le ho parlato del
giubbotto ma lei è fuggita. - Spensi la registrazione e riportai brevemente il
nastro indietro. Riascoltandolo mi accorsi della sensatezza della mia
intuizione. Aurora non capiva quello che dicevo, e la sua reazione era del
tutto comprensibile. Avrà pensato che qualcosa nel mio cervello avesse smesso
di funzionare.
Quella consapevolezza
mi spaventò ulteriormente, ma la cosa più importante era riprendere il pieno
possesso del mio linguaggio. Afferrai il giubbotto e lo voltai posizionando il
dito sulla cartina, in un punto dove era raffigurata vagamente la mia nazione. Avvertì
la stessa leggera scossa attraversarmi il corpo. Riaccesi il registratore. e
riprovai a parlare.
- Sono nel mio
studio e sto provando a capire cosa sta accadendo. -
Spensi e riascoltai
il nastro, un respiro di sollievo allentò la tensione, quando dal nastro stesso
risentì la voce nella mia lingua madre. Osservai per parecchi minuti il
giubbotto, ero combattuto se tenerlo o meno, riportarlo dove l’avevo trovato mi
sembrava la soluzione più logica.
Cominciai a
gironzolare per la stanza nervosamente. La mia mente era attraversata da decine
di possibilità, addirittura mi balenò l’idea di venderlo a qualcuno, magari ad
un collezionista di oggetti rari, inoltre, su internet potevo contattare collezionisti
del paranormale, ma quello che avevo in mano poteva causare problemi anche a
loro, e la mia buona coscienza ebbe il sopravento.
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