Intanto, seduto sul
divano del soggiorno con la testa tra le mani, riflettevo su quello che mi
stava accadendo, ero fermamente convinto che qualcosa d’inquietante incombeva
sul mio destino. Assorto nei miei pensieri fui scosso dallo squillo del
telefono, che mi fece sobbalzare. Mi alzai e corsi a rispondere, speravo fosse
Aurora.
- Pronto? -
- Ciao Max sono io
come stai? - La voce di mia madre mi fece ricordare che non ero solo.
- Bene, diciamo. -
Dall’altro capo del telefono percepì la
prova che il tono della mia risposta non l’aveva convinta.
- Capisco. -
- Tu invece come
stai? Hai preso le pastiglie che ti ha prescritto il medico? -
- Ma cosa vuoi che
mi facciano quelle pastiglie, oramai alla mia età la vita... -
- Smettila, lo sai
che non è come dici tu. - Risposi, interrompendo le sue scuse. Soffriva di
problemi al cuore, ed il più delle volte aveva rischiato di morire.
- Non ti costa
niente prenderle, è soprattutto per te che lo devi fare. - Aggiunsi utilizzando
un tono di voce autoritario. Mi chiedevo perché le persone invecchiando
diventavano come bambini.
- Va bene, dopo le
prendo. Volevo chiederti come sta Aurora. E’ da un po’ che non venite a
trovarmi. -
- La settimana
prossima saremo da te... ok? -
- Va bene Max. -
- Per il resto
tutto bene? - Chiesi cercando di non essere troppo severo con lei.
- Sì, voglio
raccontarti un sogno che ho fatto. -
- Dimmi mamma, cos’hai
sognato? - Ogni volta mi raccontava la stessa visione. Sognava un grande lago,
dove vedeva mio padre in barca che la invitava a salire. Mentre lei si
avvicinava lui si allontanava, e non riusciva mai a raggiungerlo.
- Hai sognato di
nuovo papà? -
- No. Papà non
centra nulla. Ho sognato te. Urlavi e dicevi cose senza senso. -
Rimasi in silenzio,
ed incuriosito la lasciai proseguire.
- Eri strano.
Sembravi tu ma so che non eri tu, insomma, come se dentro di te ci fosse un altro.
Mi facevi paura... eri vestito di stracci e indossavi... -
- Cosa indossavo Mamma?
- Inspiegabilmente fui colto da una strana agitazione.
- Non so, era una
cosa strana... con delle figure. -
- Per caso
indossavo un giubbotto? -
- Sì. Come fai a
saperlo? - Per un attimo il sangue cessò di scorrermi nelle vene, mi sentì
mancare, dopo pochi secondi la stanza iniziò a muoversi intorno a me, avevo le
vertigini, mi lasciai cadere di peso su una sedia.
- E ti... ti
ricordi com’era fatto? -
- Era un giubbotto
nero con dei disegni sopra... del genere, non so... sembrava una cartina
geografica... e tu mi dicevi di stare zitta, altrimenti mi avresti ucciso... mi
vuoi uccidere figlio mio? - La voce di mia madre divenne stranamente innaturale,
come se appartenesse ad un’altra persona. Fui assalito da un’affanno
insostenibile, rimasi inchiodato alla sedia.
- Max ci sei? Cosa
ti è successo? - La voce di mia madre mi tranquillizzò.
- Sì mamma, deve
essere caduta la linea. - Dissi cercando di ricompormi.
- Ah, mi hai fatto spaventare...
hai una voce strana, sicuro di stare bene? -
- Sono solo un po’
stanco, mamma ti richiamo io. -
- Va bene, a dopo
Max. -
Riagganciai la
cornetta del telefono, quando nello stesso istante avvertì un rumore alle mie
spalle. Mi voltai ma non vidi nessuno, tuttavia percepì qualcosa attraversarmi
il corpo, qualcosa di indefinito, freddo come il ghiaccio. “Sto impazzendo”
pensai.